trasferimento della sede effettiva di società olandese in Italia e trasformazione in Srl


 

Not. Claudio Limontini

climontini@notariato.it

13.05.2002

 

Una società con sede nelle Antille Olandesi che ha la forma giuridica N.V. (?) una specie di Spa, intende trasferire la sede in Italia e divenire società di diritto italiano.

 

Poiché detta N.V. in Italia come tipo societario non esiste bisogna adottare un nuovo tipo di società, nella fattispecie Srl.

 

Il Notaio olandese non intende adottare lo statuto di una Srl perché, dice, non conforme all'ordinamento legale olandese e, pertanto, delibererebbe unicamente il trasferimento di sede in Italia (non ho idea se il R.I. accetti poi l'iscrizione).

 

Quindi, bisognerebbe fare un verbale di assemblea in cui questa società si trasforma da N.V. in Srl.

 

Quid juris?

 

 


 

Not. Adriano Pischetola

apischetola.2@notariato.it

13.05.2002

 

Il secondo periodo dell'art. 25, L. 218/1995, di riforma del diritto internazionale privato, stabilisce che si applica… la legge italiana se la sede dell'amministrazione è situata in Italia..., derogando così al principio generale posto dal primo periodo del medesimo articolo che sancisce l'applicabilità della legge del luogo di perfezionamento del procedimento di costituzione.

 

Il disposto ora citato - è evidente - trova applicazione quando - a prescindere dalle espressioni usate dell'atto deliberativo formalizzato dai soci della società straniera - venga trasferita in Italia la sede effettiva, ovverosia quella dove vengono adottate le scelte gestionali di fondo dell'organismo societario, e non quando venga trasferita una sede secondaria, sia pure con stabile rappresentanza (ipotesi questa disciplinata ad hoc dal disposto dell'art. 2506, c.c., che si preoccupa di estendere agli atti della società straniera in tal caso il medesimo regime pubblicitario previsto per le società italiana.

 

Rilievo assorbente in questa prospettiva assume l'obbligo o meno di adeguamento dello statuto straniero e il contenuto di quell'obbligo stesso.

La dottrina sul punto non ha mancato di assumere posizioni diversificate.

 

Di fronte all'opinione di chi ritiene imprescindibile procedere a tale adeguamento secondo uno dei tipi disciplinati dall'ordinamento (1) sino al punto da sostenere che la possibilità dell'iscrizione nei registri pubblicitari italiani di società di tipo diverso ex art. 2507, c.c., è limitata solo alle società straniere che abbiano fissato in Italia una sede secondaria e non certamente principale (2), c'è chi al contrario ritiene che la conformazione ai modelli tipizzati nostrani non sia imprescindibile  (3), salvo poi a ritenere comunque necessario il rispetto - in concreto - di norme ineludibili dell'ordine pubblico interno del nostro ordinamento (e quindi di alcune regole 'fondamentali' per potersi parlare di 'società', vuoi per quanto concerne la ripartizione degli utili e delle perdite, vuoi per quanto concerne la previsione degli organi collegiali fondamentali, vuoi infine per quanto attiene alla responsabilità verso i terzi e alle responsabilità degli amministratori verso la società ).

 

Se queste precondizioni, pertanto, risultano di fatto rispettate, l‘ordinamento giuridico italiano non può revocare in dubbio la realtà fattuale e giuridica rappresentata dalla volizione dell‘organismo societario straniero (ed in particolare l‘atto di autonomia privata dei soci che ne hanno a suo tempo convenuto la costituzione), e magari richiedere (perché per ipotesi non richiesto dalle legislazione dello Stato di provenienza) il versamento dei tre decimi dei conferimenti in danaro non effettuato dalla società estera, come se fosse inesistente e come invece sarebbe necessario se si trattasse della costituzione ‘ex novo‘ della società medesima (4).

 

A questo punto possiamo chiederci qual è il contenuto del controllo che il notaio depositario del verbale estero è chiamato a svolgere.

 

Tale controllo non credo possa esaurirsi solo in una pedissequa verifica dell‘ossequio da parte dell‘atto estero dei principi del cd. ordine pubblico interno, delle norme imperative e di quelle che concorrono a definire il concetto (peraltro ‘fumoso‘) di ‘buon costume‘, tanto ciò essendo ovvio e non revocabile in dubbio.

 

Siffatto controllo, al contrario, si deve svolgere nel senso più ‘teleologico‘ possibile e, cioè, nel senso di verificare se l‘organismo societario straniero, sia pure non rispondente ad un paradigma tipizzato del nostro ordinamento giuridico, sia in grado di realizzare quegli stessi interessi meritevoli di tutela che giustificano la protezione da parte dell‘ordinamento dei consimili o paralleli tipi societari o comunque superindividuali da esso espressamente previsti.

 

In ciò – e vorrei dire – forse in modo più manifesto rispetto ad altre ipotesi, il notaio (dopo le semplificazioni introdotte con la legge 340/2000) si atteggia come unico ‘filtro‘ legale deputato ad esercitare un sindacato penetrante rispetto alla fattispecie estera, e – sia pure nel contemperamento apprestato dall‘applicazione del principio di conservazione dei valori giuridici – finalizzato a verificare in concreto se quella fattispecie sia dinamicamente compatibile con l‘ordinamento giuridico interno.

 

E se ciò da un lato comporta a carico del pubblico ufficiale depositario un obbligo di adeguamento o meno dell‘involucro giuridico cui quella fattispecie si riporta, dall‘altro è bene precisare che quell‘adeguamento – fatta salva la compatibilità con le norme fondamentali del nostro diritto societario - non deve spingersi fino al punto da realizzare una conformità‘ totale e pedissequa a quel diritto, potendo ritenersi sufficiente che l’ordinamento di origine abbia comunque garantito, benchè attraverso altri strumenti, le stesse finalità in vista delle quali tali condizioni sono imposte nel nostro ordinamento (5).

 

Non senza comunque ignorare gli esiti cui ha indotto la nota sentenza della Corte di giustizia della Comunità Europea (27.09.1988, causa 81/87, Daily Mail and General Trust PLC, Raccolta di Giurisprudenza della Corte, pag. 5483), che ha escluso un vero e proprio ‘ diritto‘ per una società costituita ed operante in uno Stato membro della UE a trasferire la sua sede principale nel territorio di altro Stato membro, conservando inalterata ed immutata la propria identità giuridica.

 

(1) Piccoli - Zanolini, in Le persone giuridiche nella riforma del d.i.p., Riv. Not., 1996 pag. 175

(2) Leanza, Nov.Dig, voce 'Società straniera'

(3) Ballarino, La società per azioni nella disciplina internazionalprivatistica, in Trattato Colombo- Portale, Torino, 1994, pag. 59 e 102 ss.

(4) così Trib.Pordenone 28 settembre 1990, Foro Pad., 1991, I, p.187;

(5)  così, Ballarino, La società, cit. 74